Presentiamo in questa sezione alcuni dei casi più interessanti che sono stati affrontati con successo dallo Sportello lavoro. Non deve stupire che molto spesso l’azienda accetti di pagare una somma di denaro prima ancora che un giudice le dia torto riconoscendo il diritto del lavoratore: è un segno di quanto siano diffusi gli abusi sui posti di lavoro, tanto che l’imprenditore preferisce pagare subito, magari un po’ di meno, sapendo che con ogni probabilità sarebbe condannato in tribunale. Gli importi variano a seconda delle dimensioni dell’azienda, della durata del rapporto, anche dell’esigenza dei lavoratori di lasciarsi alle spalle in fretta una vicenda di sfruttamento con un accordo comunque soddisfacente: finora, le persone che abbiamo assistito hanno ottenuto, complessivamente, circa 50.000 Euro a titolo

di conciliazione.

Il finto contratto a progetto

A. ha lavorato come designer progettista in uno studio per oltre un anno, con un contratto a progetto. Il progetto indicato nel contratto in realtà non era che la descrizione delle mansioni svolte, prive di qualsiasi tipo di progettualità; inoltre il rapporto di lavoro era caratterizzato da totale assenza di autonomia, orario e compenso fissi, obbligo di comunicare eventuali assenze e completo inserimento delle attività nell’organizzazione aziendale: si trattava insomma di un “progetto” e di una “collaborazione autonoma” solo di nome, che mascherava un vero e proprio rapporto subordinato. Appena ricevuta la lettera di impugnazione, prima ancora di iniziare la causa, il datore di lavoro ha versato una somma di denaro per conciliare la controversia.

Di tutto, di più: lavoro nero, stipendi non pagati, licenziamento illegittimo

I. è stata assunta da una piccola azienda come segretaria amministrativa, ma senza firmare alcun contratto. Dopo alcuni mesi, il datore di lavoro, che in precedenza aveva pagato solo in parte lo stipendio, ha smesso del tutto di pagarla. La lavoratrice ha chiesto perciò che venissero pagati tutti gli arretrati, compresa la tredicesima, e i contributi: per legge, infatti, in mancanza di contratto scritto il rapporto di lavoro si intende

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di tipo subordinato e a tempo indeterminato. Ricevuta la lettera, l’azienda ha formalizzato l’assunzione a tempo indeterminato, ma poche settimane dopo ha inviato la lettera di licenziamento. I. ha impugnato il licenziamento, in quanto privo di qualsiasi motivazione, e ha fatto causa all’azienda, chiedendo al Giudice del Lavoro che venissero pagati tutti gli arretrati e risarcito il danno. Prima ancora della data dell’udienza l’azienda ha pagato tutto il dovuto e risarcito il danno per il licenziamento illegittimo.

La somministrazione con causale farlocca

P. e M. hanno lavorato per circa due anni per una grande azienda con un contratto di lavoro in

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somministrazione (tramite un’agenzia di lavoro) ripetutamente prorogato. I due contratti, identici, invocavano ragioni di carattere temporaneo (nei contratti in somministrazione di durata superiore a un anno deve sempre essere specificata la causale) smentite già dal fatto che il rapporto di lavoro fosse durato per tanto tempo; del resto i due lavoratori svolgevano mansioni assolutamente ordinarie e stabili. Hanno impugnato il contratto e la cessazione

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del rapporto, chiedendo l’assunzione a tempo indeterminato e un risarcimento del danno. L’azienda, ricevuta la lettera di impugnazione, per evitare la causa ha versato a entrambi una somma di denaro per conciliare le due controversie.

Anni di contratti a progetto

S. ha lavorato per circa due anni e mezzo con una serie di contratti a progetto, tutti identici e non più lunghi di tre mesi, senza soluzione di continuità. Né le mansioni né l’organizzazione del lavoro erano propri di una collaborazione autonoma; la stessa ripetizione di contratti a progetto identici era indizio della natura sostanzialmente subordinata del rapporto. Dopo aver impugnato la cessazione del rapporto, ha fatto causa all’azienda chiedendo al Giudice del Lavoro il riconoscimento della subordinazione,

l’assunzione e un risarcimento del danno. L’azienda, prima dell’udienza, ha accettato di pagare una somma di denaro per conciliare la controversia.